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  • di Diplomaticus

Golpe in Turchia


Nella notte di venerdì scorso è accaduto di tutto in Turchia, con il tentativo dell’esercito di un colpo di Stato.

Erdogan si è salvato per miracolo. Con l’aereo presidenziale ha cercato di atterrare prima ad Istanbul, dove è stato respinto, e poi a Berlino, dove è accaduta la stessa cosa, ma non lo sapremo mai con certezza.

Tuttavia Erdogan, con un cellulare, è riuscito a comunicare con una televisione privata (una di quelle che vorrebbe sopprimere). Nell’etere passa il messaggio del Presidente turco che invita la gente a scendere in piazza per fermare i soldati, manifestando a mani nude. Il tentativo disperato riesce: la folla scende per le strade e si oppone all’esercito che non apre il fuoco. Il tentativo di golpe fallisce ed i soldati abbandonano i carri armati.

Fallito il colpo di Stato, Erdogan si accinge a spazzare via tutta l’opposizione. Le conseguenze politiche si faranno sentire subito e saranno assai pesanti.

Il golpe è costato circa 300 morti e quasi 3.000 feriti. Alcuni golpisti sono fuggiti in Grecia e se ne chiede l’estradizione immediata. Si profila la reintroduzione della pena di morte che era stata sospesa a suo tempo per entrare nell’Unione europea.

Il pugno di ferro di Erdogan si abbatte sul Paese: oltre 6.000 fra giudici, ufficiali ed alti funzionari vengono arrestati. Vengono rimossi dal loro incarico od arrestati circa 3.000 magistrati, fra i quali tutti i giudici della Corte suprema, 5 generali, 29 colonnelli e lo stesso consigliere militare del Presidente. Almeno altri 10.000 arresti seguiranno nei prossimi giorni tra civili e militari. Magistratura, esercito e pubblica amministrazione sono sottoposti ad un’epurazione durissima. Erdogan vuole vendetta contro chi gli si oppone. Questo è il quadro provvisorio di ciò che sta accadendo in Turchia.

Cerchiamo di capire qualcosa di più, escludendo le varie manipolazioni già in corso.

Un colpo di Stato non si organizza in poche ore davanti a un boccale di birra. Occorre convincere gli alti ufficiali e la truppa, i comandanti di presidio, pianificare le operazioni necessarie (bloccare porti ed aeroporti, occupare i nodi stradali, impadronirsi dei centri di comunicazione civili e militari, le emittenti telefoniche e radiotelevisive, predisporre i movimenti delle truppe, preparare i proclami da trasmettere alla gente e così via). Molti, dunque, sapevano e la faccenda andava avanti da parecchio tempo nelle alte sfere dell’esercito.

L’esercito turco è ben armato, la sua dirigenza da anni si forma negli Stati Uniti ed è una delle colonne portanti della NATO. È impensabile che le autorità militari turche non abbiano discretamente informato i loro colleghi occidentali di quanto erano in procinto di fare. Il rifiuto di Berlino all’atterraggio dell’aereo presidenziale è la riprova che almeno in Germania si sapeva quello che stava accadendo.

L’esercito turco è uno dei pilatri costituzionali del Paese fin dai tempi di Kemal Ataturk. Ora, questo pilastro mostra gravissime crepe e non è più affidabile, né per Erdogan né per la NATO. L’epurazione avviata da Erdogan è stata immediata e ne seguiranno certamente altre, il che non farà certamente piacere agli ambienti militari. Invece di spazzarla, l’opposizione si farà più insidiosa e convinta, se non altro per salvare la testa.

Ma la furia di Erdogan si sta rivolgendo soprattutto contro gli Stati Uniti, accusati di ospitare un suo acerrimo nemico, Fethullah Gulen, considerato l’ispiratore del golpe.

L’importante base aerea americana di Incirlik, da cui partono i voli contro il Califfato, è sotto assedio ed i Turchi, dopo aver arrestato il generale comandante del presidio turco, hanno tagliato la corrente elettrica. In risposta, il Pentagono ha lanciato un allarme rosso, per la difesa della base. Contro chi?

Una ventata di esasperato nazionalismo rischia di sommergere la Turchia. Al momento, l’Europa non è nel mirino di Erdogan, ma lo sarà molto presto. Il regime autoritario di Erdogan ed il modo con il quale sta manifestando i suoi intenti repressivi, usando il pugno di ferro, sono in netto contrasto e quasi di sfida rispetto alle invocazioni di rito americane e tedesche per il rispetto dei diritti civili e della legalità democratica in Turchia.

Appare evidente, anche se certamente non provabile, la complicità nel golpe dei più importanti Paesi NATO. Il fatto stesso che circolino voci sull’ipotesi che sia stato lo stesso Erdogan a creare un falso colpo di Stato per eliminare l’opposizione interna tende a far ignorare la partecipazione occulta occidentale al golpe. Ma queste interpretazioni sono solo sciocchezze da copertura mediatica per i gonzi.

È noto da tempo che la politica ambigua di Erdogan fra Occidente ed Oriente, democrazia ed autocrazia, simpatie jiadhiste e contrastanti interessi in Siria, specie nei confronti dei combattenti kurdi, non ha certo incontrato il favore dell’Occidente e, in particolare, della Merkel, che più volte si è scontrata con il governo turco sulla questione degli emigranti siriani.

Se la furia iconoclasta di Erdogan dovesse continuare, tutto il complesso dei rapporti fra la Turchia e la NATO e l’Unione europea rischia d’essere messo in discussione. La ripresa dei rapporti con la Russia e con Israele danno piuttosto la sensazione d’essere alla vigilia d’una svolta epocale che non potrebbe non essere pericolosa per l’Occidente, che da sempre ha considerato la Turchia un bastione imprescindibile per la sua difesa, pur tenendola scioccamente alla porta dell’Europa per un decennio.

L’islamismo c’è lo stesso in Europa, e lo costatiamo tragicamente ogni giorno, mentre ottanta milioni di Turchi, in Europa o no, schierati con l’Occidente o con il Califfato islamico, oppure con la Russia di Putin, fanno una bella differenza. Una rottura degli equilibri esistenti aprirebbe uno scenario molto pericoloso per l’Occidente e per la stessa Turchia.


Roma, 18 luglio 2016.

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