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di Stelio W. Venceslai)

Gli impedimenti della democrazia




Chiunque si sente ispirato dalla ragione e dell’interesse, raramente dalle emozioni. In politica, al novanta per cento sono gli interessi a muovere gli Stati. In economia, poi, è proprio il campo loro.

Ciò che sta accadendo in Europa (lasciamo da parte gli Stati Uniti, in questo momento in preda ai riti elettorali per il nuovo Presidente) deve essere letto nell’ottica degli interessi, se ci sono.

L’Europa vorrebbe vivere in pace e poter commerciare con tutti. Per questo ha favorito la globalizzazione. Il risultato è stato complessivamente negativo: i Paesi europei non si sono arricchiti, è aumentata la disoccupazione e la deindustrializzazione ha fatto il resto. Milioni di poveri si aggirano soprattutto nei Paesi del Sud. I Paesi, in teoria beneficiari della globalizzazione, hanno leggermente migliorato le loro economie, ma i redditi restano profondamente diseguali. Abbiamo aumentato il volume degli scambi ma peggiorato le varie situazioni sociali. Il divario fra ricchi e poveri è vistosamente aumentato. Miseria, fame e malattie devastano la vita di miliardi di persone. Guerricciole endemiche e guerre serie si aggiungono a questo quadro sconfortante. Almeno in questa fase, la globalizzazione è stata un disastro.

La crisi economico-finanziaria, che sta devastando l’economia planetaria e deindustrializzando l’Europa continentale, ha visto l’emergere di potenti gruppi finanziari che si sono enormemente arricchiti e che, di fatto, determinano i destini del mondo, facendosi beffa dei poteri e della sovranità degli Stati tradizionali.

Nuove potenze emergenti, poi, sono apparse sullo scenario politico internazionale.

La Cina, da sempre una realtà fondamentale per tutta l’Asia, cerca di espandersi nel vuoto lasciato dai Paesi occidentali, alla ricerca, soprattutto in Africa, di risorse d’ogni tipo, da quelle energetiche e minerali (le terre rare) a quelle alimentari. Ha centinaia di milioni di bocche da sfamare e di consumatori da soddisfare, le cui esigenze politiche, ambientali, sociali ed umanitarie sono inesorabilmente crescenti.

L’India, da sempre alle prese con i suoi grandi vicini, la Cina ed il Pakistan, è diventata una potenza tecnologica, appesantita da decine di milioni di diseredati e da dislivelli sociali enormi che non è riuscita a colmare. C’è benessere, ma solo per pochissimi. Per la maggior parte della popolazione indiana è ancora notte fonda.

L’Iran sta emergendo come nuova e più agguerrita potenza regionale. Politica e religione la mettono in palese contrasto con l’Arabia Saudita, già potenza egemone nel mondo arabo. La partita che si sta giocando in Iraq, con le truppe iraniane ed i Kurdi, contro il Califfato islamico, in accordo con la Russia, fa intravedere nuovi ed inquietanti scenari nel Golfo.

La Russia, potenza asiatica ed europea allo stesso tempo, dopo il disfacimento dell’Unione sovietica, ha ripreso vigore. Forte della sua potenza militare e delle sue immense risorse energetiche, sta esercitando un ruolo di primo piano negli affari del mondo., con una strategia a tutela dei suoi interessi molto chiara ed efficace.

Al contrario, l’Europa è un vaso di coccio tra vasi di ferro. Imprigionata dai suoi ideali, sempre predicati ma poco attuati, si erge a difensore della libertà (quale?), dei diritti umani (altrui), della legalità democratica e così via. Coerentemente, sosteniamo i diritti dell’Ucraina, stiamo zitti con Erdogan, abbiamo tenuto in piedi Pinochet ed i generali argentini, sosteniamo il regime di Morsi in Egitto, facciamo la guerra (a parole) contro il Califfato islamico, ma dissentiamo dalla Siria, che fa la stessa cosa e così via. Un insieme di contraddizioni profonde che sono la misura dell’incapacità europea d’essere una vera entità politica.

Con la Turchia, li abbiamo tenuti fuori della porta dell’Unione per dieci anni, perché la Francia non voleva i Musulmani in Europa. Con la Libia, sempre la Francia ha deciso che Gheddafi doveva essere abbattuto, perché era un dittatore. Ora la Libia è terra di nessuno. Meglio così?

Secondo la Francia, che di Marocchini, Tunisini ed Algerini ne ha parecchi, i Turchi è meglio averli fuori. Come nemici? Non so se il golpe in Turchia sia stato fasullo, come dicono molti, o preparato invece, dalla CIA, come sostiene Erdogan. Una cosa è certa: se è stato preparato fuori, è stato fatto e diretto male e si è concluso in un disastro. Se è stato, invece, discretamente organizzato dallo stesso Erdogan per schiacciare l’opposizione interna, di che si lamenta l’Europa? E, infatti, non si lamenta. Ora tace o, al massimo, dice ovvietà.

I Paesi occidentali sono incapaci di contrastare il terrorismo strisciante che colpisce innocenti un po’ dovunque. Polizia e Servizi di sicurezza sono totalmente inadeguati: Arrivano dopo, e sempre per scoprire che gli autori degli attentati erano noti, alcuni addirittura vigilati e con l’obbligo di non uscire da casa. I più erano cittadini europei già da alcune generazioni, gli altri, in attesa di naturalizzazione. La Francia è una tela di ragno strappata in più punti, ma l’efficente Germania, a Monaco, non è stata da meno: ha dimostrato la stessa totale inefficienza.

Hollande dice che siamo in guerra, Sarkozy insiste per misure più restrittive, la Merkel è solo “sconvolta”, ma invita alla moderazione. Altro che guerra! Non è con le parole e con i buoni propositi che si fa la guerra. Papa Francesco c’invita a pregare. D’altronde, non ha altri mezzi. Anche i Cristiani martiri davanti alle fiere affamate intonavano canti di preghiera prima d’essere sbranati.

Ma l’Europa non è un Colosseo per futuri sacrifici umani. Abbiamo speso miliardi per tener in piedi eserciti e polizie ed armamenti solo per sfilare in parata? Qual è l’interesse vero dell’Europa, oggi? Sopravvivere.

Non si combatte il terrorismo con i vertici e con la legalità, ma con le armi. La testa dell’idra è a Raqqa. Tagliata la testa, l’idra sopravvivrà per qualche tempo, ma poi morirà.

Se davvero dobbiamo morire per la democrazia dei nostri padri, è meglio morire combattendo piuttosto che finire sgozzati davanti ad un altare.

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