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  • (di Diplomaticus)

I Maduri d'Europa


Ciò che sta accadendo in Venezuela è sintomatico del modo con il quale vengono interpretate le democrazie oggi giorno.

Maduro governa un Paese affamato e in rivolta, con una popolazione all'80% che lo vorrebbe sbattere fuori dal Paese, con un Parlamento che è contro di lui. La gente protesta ed i suoi miliziani sparano. Centotrenta morti, fino ad ora, con il dissenso crescente di molti Paesi latino-americani, ma lui se ne fotte.

L'esercito è con lui, le bande di popolani chavisti sono con lui. Non gli bastano a sedare la protesta, e allora indice elezioni per cambiare la Costituzione, sciogliere il Parlamento ostile e d accrescere i suoi poteri. Democraticamente sbattendo in galera i capi dell'opposizione, sparando sugli studenti in rivolta e sulle donne che reclamano il diritto di comprare alimenti e medicine che sono spariti dai negozi a causa della crisi economica che ha investito il Paese.

Se la nuova Costituzione sarà introdotta, sempre democraticamente, il massimo dei consensi di Maduro, scrivono gli osservatori stranieri, si aggirerà fra il 20-25%. Un successo, per l'Europa, visto che Macron e Renzi governano od hanno governato con percentuali analoghe.

La differenza è, però, che in Venezuela, Paese un tempo ricchissimo, si fa la fame e la gente scende in piazza a prendere le fucilate, in Europa non si fa ancora la fame, ma la maggioranza della popolazione è talmente schifata dalla politica che si lascia gestire da minoranze imbelli ed incapaci.

Questo tipo di democrazia minoritaria vincente è esiziale per lo Stato e per la stessa democrazia.

Maduro è l'espressione più becera del sistema democratico. Autista d'autobus, è arrivato al potere quasi per caso, con il successo di Chavez, che aveva un certo carisma e che, a causa delle sue precarie condizioni di salute, prima lo nominò Ministro degli esteri e poi lo designò come suo successore. E' una specie di Masaniello sudamericano che, seduto sul trono, vuole restarci. Maduro, però, non è Chavez ed i risultati si sono visti quasi subito, disastrosi. Naturalmente l'opposizione è fatta da criminali “fascisti” e da bande di agitatori sovvenzionati dai servizi segreti esteri. Il solito armamentario propagandistico dei dittatori di sinistra. Elezioni truccate ed organizzazioni paramilitari maduriste lo fiancheggiano. Il Paese è in rivolta e cacciare in galera gli oppositori è il fregio della nuova democrazia madurista. Il Venezuela è sull'orlo della guerra civile.

In Europa le cose non stanno così. L'occupazione langue, il lavoro manca, i negozi chiudono, la situazione economica è quanto mai delicata. Milioni di nuovi poveri affollano le mense o dormono per strade. Non c'è rivoluzione, ma depressione ed irritazione tante. La democrazia è diventata un affare di partitini che si sbranano tra loro.

In Francia Macron mira a restaurare un potere di destra economica e nazionalista per contrastare la Le Pen e dare un guizzo d'orgoglio al Paese. Ripete gli stessi errori di Sarkozy, in un isolamento politico internazionale pressoché totale. Ha vinto le elezioni gridando Europa, Europa e puntando su un asse franco tedesco di non fresca memoria. Poi, all'atto pratico, dell'Europa se ne fotte.

In Libia continua a voler fare da solo, creando confusione. La Francia è un modesto partner militare e politico, nel contesto internazionale, ma, come dicono i Napoletani, “lui si crede”.E' un bluff, sostenuto dalla moglie. Ma dietro c'è il vuoto. La Francia, nel quadro europeo, è l'unica potenza nucleare esistente, ma il suo armamentario nucleare è vecchio e modesto. Non è la Corea del Nord.

L'arroganza ministeriale del giovane Macron, per molti versi, ricorda quella di Renzi: il nulla vestito di chiacchiere. A due mesi dalla sua trionfale elezione a presidente la caduta dei suoi consensi sfiora il 32%. Tra poco riuscirà a battere il pifferaio fiorentino, che è in forte calo, circa al 26%.

Le disgrazie della Francia possono anche farci piacere, ma fino ad un certo punto, perché se Macron si agita così maldestramente come ha fatto in Libia, rischiamo di pagarne noi le spese.

L'affare libico si presenta male. Gentiloni si muove su invito di Carraji per inviare navi militari nelle acque libiche, a “supporto” dei guardacoste libici. Il governo Carraji è riconosciuto da tutto l'Occidente, ma non governa. Chi governa da Misurata, invece, è il generale Haftar, che ha un esercito forte, ha un Parlamento che lo sostiene, sbandiera un figlio redivivo di Gheddafi, ha stretto la mano a Macron ed ha il supporto di Egitto, Russia, ed Arabia Saudita. Naturalmente, sbandiera accuse di colonialismo fascista nei confronti dell'Italia e giura che la flotta (sic!) libica sparerà contro le navi italiane. Come finirà?

Gentiloni dice che sono vanterie di cui non si deve tenere conto. Sarà pure così, ma se Haftar spara, che faranno le navi italiane? Se attaccate, dovrebbero rispondere. In genere si usa così. Ho il doloroso sospetto che, invece, torneranno indietro, con qualche buco sulle fiancate, se va bene..

In Italia, sappiamo tutti come vanno le cose: buh-buh e buonismo umanitario al massimo.

L'affare libico rischia d'essere il tracollo delle velleità italiane. Non sarebbe la prima volta, visto che fummo trascinati da Francia ed Inghilterra (grazie, si dice, alle pressioni di Napolitano) nella sciocca impresa di abbattere Gheddafi con cui avevamo stipulato, qualche settimana prima, accordi importanti.

I Maduri d'Europa mi fanno paura. Troppo stupidi per governare.

Roma, 4 agosto 2017.

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