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Democrazia da bidet


Finito lo show di Villa Pamphili, proviamo a tirarne le somme. Abbiamo scoperto:

1 - se accendo il fuoco sotto l'acqua, l'acqua diventa calda;

2 - vendere ghiaccio in una zona polare non è conveniente;

3 - più si spara grosso più si fa rumore.

Mi sembrano tre acquisizioni importanti da tenere a mente. Per il resto: nulla. Finito lo show, restano le cose serie. Forse è il momento di affrontarle.

In primo luogo è la sanità. L'economia è fondamentale, ma solo se sei vivo e sano, altrimenti non conta nulla. Può essere un problema per chi deve pagare il tuo funerale.

La questione del MES sta diventando stucchevole. Gli ultimi conati di sovranismo provinciale si sono aggrappati alla “condizionalità”. Non vogliamo soldi se condizionati. Posso anche morire, ma senza condizioni. Bellissimo, onorevole, poco intelligente. Prima vivi e poi, se mai, discuti.

Il mito che abbiamo la sanità migliore del mondo non inganna più nessuno. Forse, rispetto al Brasile, all'India e agli Stati Uniti, ne abbiamo da vendere ma, in realtà, da noi non ha funzionato come forse si sperava.

Errori gravissimi si sono fatti in questi anni sulla sanità, con il numero chiuso nelle facoltà di medicina (abbiamo troppi medici? E perché allora abbiamo richiamato in servizio quelli già pensionati?) e testi d'ammissione cretini. Molti giovani sono andati in Spagna e altrove a laurearsi con lode e lì sono rimasti.

Non abbiamo sviluppato scuole o facoltà per gli altri operatori sanitari (in primo luogo, l'infermieristica. L'importavamo dal Perù, ricordate?).

Abbiamo tagliato 35 miliardi di euro negli ultimi dieci anni sul bilancio della Sanità (per destinarli e sperderli in altre cose rimaste senza costrutto, tipo Alitalia o ex-ILVA).

Abbiamo chiuso gli ospedali territoriali in base al principio che occorrevano solo ospedali regionali d'eccellenza, senza pensare che sul territorio gli ospedali locali potevano fungere da filtro per i casi meno gravi. Di conseguenza, nel corso della prima ondata di epidemia, tutte le altre cure, a partire da quelle ontologiche, sono state sospese.

Abbiamo sottovalutato ricerca e innovazione. Abbiamo, coscientemente, fatto una serie notevole di errori. Meglio ospedali vuoti, ma attrezzati, che pazienti stesi lungo i corridoi. Le conseguenze le abbiamo viste.

E va bene. Errori se ne possono fare, specie quando accadono eventi imprevedibili ma ora basta. Occorre trarne le conseguenze logiche. Che vogliamo fare?

È possibile che il contagio non si fermi. Taluni, più pessimisti, nel ricordare che il contagio circola ancora fra noi (specie in Lombardia), si preoccupano di un'eventuale recrudescenza dell'epidemia nei prossimi mesi. Che si sta facendo per provvedere a un'altra possibile emergenza?

A me pare che prima di discutere sulle “condizionalità” del MES si dovrebbero avere idee chiare su ciò che occorre mettere in atto rapidamente (insisto su questo avverbio), anche per quantificarne la spesa. Non abbiamo soldi, è vero, ma dovremmo sapere di cosa c'è bisogno. L'emergenza sanitaria continua e non si combatte certo con l'uso delle mascherine. C'è qualcuno che sta preparando un piano d'intervento?

Io credo che questa sia, davvero, la prima “condizionalità” per qualunque trattativa per spendere fondi altrui, anche se, in parte, sono fondi nostri. Non mi pare che di ciò si sia parlato a Villa Pamphili.

Allora, discutere del MES e della sua applicabilità all'Italia è del tutto superfluo. Come al solito, puntiamo il dito sulla luna, osserviamo il dito e dimentichiamo la luna.

È inutile vestire di politica ciò che politico non è, ma solo buon senso. Capisco che certi supposti principi servono a coprire le inadeguatezze di chi è al governo e quelle dei partiti all'opposizione. Quando non si hanno argomenti, si fanno barriere di fumo ideologico, ma sotto non c'è nulla.

Qualcuno potrebbe sostenere che gli Stati generali sull'economia non sono quelli sulla sanità, come se l'economia sanitaria fosse una cosa che non ha impatto sull'economia generale del Paese.

L'emergenza economica è quasi altrettanto grave quanto quella sanitaria, ma se la gente continua a morire, l'economia non conta nulla.

Alla fine della 1° Guerra mondiale andarono al Creatore circa 100 milioni di persone, tra ricchi e poveri, imprenditori, contadini, professionisti e operai, donne e uomini. L'economia faceva distinzioni fra classi ricche e classi povere, la pandemia no. Non guardava in faccia a nessuno. È rimasta democratica.

È trascorso più di un secolo ed è cambiato tutto, ma se dovesse tornare questo spettro, quanti milioni di morti dovremo contare?

A Villa Pamphili s'è fatto un piccolo lavacro dei nostri problemi economici, come se non li conoscessimo tutti. Ma il presupposto è vivere. Non lo diamo per scontato. È ancora troppo presto.

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