Guerra globale
È in corso una guerra globale. Non si tratta dell’Ucraina, martoriata e della sua gente in fuga, dispersa in mille rivoli. Si tratta di ben altro e solo lentamente ci si comincia rendere di questa realtà. A torto o a ragione, Putin ha gettato le carte in tavola imponendo un nuovo gioco: o noi o loro.
Noi è l’Occidente, America ed Europa(variegata, divisa, impotente), ricco ma dipendente per l’energia e per le materie prime da loro. Loro sono la Russia, la Bielorussia, la Cina e forse l’India. Silenziosi Giappone, Turchia, Brasile e Paesi arabi
Non è vero che il mondo abbia condannato l’aggressione russa all’Ucraina. Contando i numeri, il 93% dei membri delle Nazioni Unite ha deplorato l’invasione. Contando i pesi reali, invece, almeno un terzo della popolazione mondiale, se non la metà, è d’accordo con Putin.
L’Ucraina è solo un pretesto, un Paese che pochi conoscono, dalla storia tormentata da sempre, un angolo di frontiera tra una concezione e un’altra del mondo. In Ucraina si combatte una guerra accanita, a parole, per la libertà dell’uno o dell’altro, ma e solo un tristissimo gioco di birilli.
La guerra in corso è globale, non solo militare ma scientifica, energetica, intellettuale, spaziale, monetaria ed economica.
Russia e Cina e forse India contro l’Occidente. Mancano all’appello i Paesi arabi e l’Iran. Non parliamo poi di Corea del Nord e di Bielorussia. Dov’è la maggioranza dei consensi di cui si vanta Biden? Nel voto delle Samoa?
È venuto il momento, secondo Putin, di fare i conti con la debolezza europea e l’arroganza americana. Se non si vede il conflitto in questi termini e ci si addolora su questo o quel profugo o quell’edificio distrutto, si perde il senso vero del conflitto che va ben oltre la sorte dell’Ucraina e di Zelenski.
I tempi del Piano Marshall sono finiti da un pezzo. La gratitudine l’abbiamo pagata con un Trattato di pace le cui clausole più importanti sono ancora segrete.
Il muro di Berlino è caduto e l’Unione Sovietica si è dissolta. Si è creduto che fosse finito l’incubo di un terzo conflitto mondiale. Ma la Russia c’è, eterna come eterna è l’Europa. Solo che in Russia esiste un regime ferreo che aspira a riconquistare spazi che già furono suoi e in Europa esiste un fantasma ricco e disarmato che si perde nei salotti e chiacchiera di cose inutili. A proposito, dov’è finita la piccola Tunberg?
L’America, poi, simbolo della libertà (la loro), ha cercato di colonizzare il mondo con l’american way of life, sotto il segno della dissolutezza, della droga, dell’alleanza con miserabili dittatori di turno sudamericani o arabi o sud orientali, arrogandosi il diritto di fare e disfare i governi altrui in nome di una democrazia concepita a uso e consumo dei soli Americani.
Una democrazia che alza i muri contro gli emigranti latino-americani, che pratica costantemente la discriminazione razziale e che, forte della sua presunta potenza militare, è immobile come un elefante addormentato.
Quello che si profila è il paradosso della globalizzazione. I Paesi più evoluti sono trasformatori di materie prime altrui, dal grano al petrolio, dal rame al gas, dai diamanti all’uranio. Finora ci hanno guadagnato tutti: gli oligarchi russi, tenuti a freno da Putin, gli oligarchi americani, che tengono a freno i governi occidentali. In fondo, la differenza è tutta qui. È questione di polso. I Russi ce l’hanno.
Invocare i Trattati contro i cannoni è patetico. I cannoni sparano, i Trattati no. Se la Russia blocca le sue forniture all’Occidente, l’Occidente muore di freddo e di fame. Altro che ripresa industriale!
È in corso un profondo riassetto degli equilibri mondiali. Il rublo rialza la testa e l’economia occidentale fondata sul dollaro trema. Quei lontani accordi di Bretton Woods che misero fuori gioco la Russia monetaria di Stalin sono finiti e la supremazia americana è fortemente minacciata.
Alle sanzioni occidentali si contrappongono ora quelle russe, ben più pesanti. Noi sequestriamo le ville e i navigli degli oligarchi, loro chiudono i rubinetti delle materie prime di cui abbiamo bisogno. Chi vincerà?
L’America ci offre l’1% del fabbisogno mondiale di petrolio. Una goccia nel mare. Non serve a placare la tempesta che sta arrivando.
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