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  • di Stelio W. Venceslai

Il caos dei decreti


La seconda ondata dell’epidemia è arrivata. Ogni giorno sale il numero dei contagi. L’ottimismo buonista è finito. Ora si raccolgono i risultati di cinque mesi di chiacchiere inutili, di decreti all’acqua di rose, di futili polemiche sul MES.

La realtà della pandemia, come nel resto d’Europa, sovrasta tutti.

Siamo alle solite: mancano i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari. Difettano le attrezzature, soprattutto per le cure intensive. La rete territoriale sanitaria è pressoché inesistente. Gli ospedali si stanno riempiendo e tutto il sistema sanitario è in affanno. Siamo tornati all’emergenza. Il Presidente Conte rassicura: il Governo ha lavorato tanto, siamo pronti a respingere il contagio. Oggi è diverso da ieri. State tranquilli.

Purtroppo non è così. La pandemia è un fatto eccezionale che travolge tutto, ma non dovrebbe travolgere il buon senso. In questi ultimi quattro o cinque mesi non s’è fatto molto per provvedere nell'ipotesi di un ritorno del contagio. Prendere ora provvedimenti tardivi è come tappare una voragine con le mani. Il Governo centellina un decreto al giorno, come un aperitivo. Vorrebbe fare una stretta ma non è in grado di farla. Avrebbe troppi nemici. Rischia la rivolta. E così, una brutta copia dei provvedimenti di Macron è pronta e comunicata agli Italiani. Sono salvi tutti, in modo tale che non protesti nessuno.

L’idea che si debbano chiudere i locali sanificati, come le scuole, i ristoranti, le pizzerie, cinema e i teatri, le sale da concerto e quelle da parrucchiere, i negozi, dove per entrare si misura la febbre, si prende l’indirizzo e si deve indossare la mascherina, dopo la disinfezione delle mani, è inverosimile. Si temono gli assembramenti, le movide. E che ci stanno a fare le forze dell’ordine? Questa non è una responsabilità dei gestori, ma delle Autorità.

Dove si annida davvero il virus? La risposta di tutti è: nei mezzi di trasporto e nelle famiglie.

Intervenire là dove tutti, in genere, hanno provveduto a ciò che stato imposto per la sicurezza degli studenti e dei clienti, è assurdo. La gente va a scuola o al lavoro. Specie in città, o ci va con la macchina o prende un mezzo di trasporto. Lì non c’è nessun controllo. Si viaggia ammassati, molti senza mascherine. Il contagio è facile, fin troppo.

Autobus e metropolitane sono i veri focolai d’infezione. Nessuno controlla chi sale, chi scende, se sono ammassati, se portano le mascherine.

All’inizio i posti a sedere erano alternati, con tanto di avvisi scritti sui posti da non occupare. Erano state inserite addirittura delle paratie di plastica per separare i passeggeri. I fogli sono scomparsi, le paratie sono state divelte e si viaggia accatastati come ai bei tempi. Alle fermate la gente si affolla. Non c’è nessun controllo. I mezzi di trasporto sono insufficienti per moltiplicare le corse.

Basterebbero un po’ di personale alle entrate per controllare e respingere, oppure adottare il numero chiuso. Lo facciamo (scioccamente) nelle Facoltà di medicina (mentre mancano almeno 20.000 medici) e non lo si può fare alle fermate?

Poi, ci sono migliaia di autobus fermi, con il personale in cassa d’integrazione, a suo tempo adibiti a gite scolastiche o a trasporti turistici. Perché non si utilizzano? Non è questione di soldi. Anche per questa emergenza si potrebbero utilizzare i fondi del MES. Perché non s’interviene in questo senso? Si parla solo di sfalsare gli orari, non di andare alla radice del problema.

I trasporti incidono sulle famiglie. Chi torna dal lavoro o dalla scuola entra a casa e può contagiare tutti. Certo, chi ha l’autista o la scorta non ha di questi problemi, ma la gente sì. Non si combatte il virus imponendo a ristoranti di chiudere entro mezzanotte. Qual è la ratio? Dopo le 24.00 il virus avanza? Lavora di notte?

La famosa ripresa, che non c’è, è insidiata dai trasporti. Basta vedere il centro delle nostre città: il deserto, negozi vuoti, ristoranti chiusi. Questa è la verità, ma nessuno prende provvedimenti.

È inutile fare decreti draconiani per evitare le feste in famiglia, se non s’interviene sui trasporti. Purtroppo il virus non si combatte con la carta del Poligrafico. Se ne parla, al solito, ma tutto finisce lì. I Comuni non hanno denaro per incrementare il numero delle corse, perché mancano autobus e vagoni. Il Governo sembra assente, forse non sa cosa fare. E, intanto, il virus dilaga.

Occorrono infermieri, medici, attrezzature, personale sanitario, tutto ciò che, almeno in parte, si poteva fare e non si è fatto, spendendo comunque miliardi. Si è perso tempo, ci si continua a gingillare fra una polemica e un’altra e, intanto, crescono la diffidenza e il timore.

Vertici a profusione e Consigli dei Ministri a iosa. I debiti aumentano, li si allontana nel tempo e il Recovery Fund sul quale fa tanto affidamento il Governo italiano non è più il toccasana sperato e osannato e il suo intervento si allontana nel tempo. In queste condizioni, forse utilizzare il MES potrebbe dare ristoro alle nostre finanze dissanguate.

La risposta, paradossale, del Presidente Conte è che contiamo solo sul Recovery Fund. Quanto al MES, lo si esclude, ma non per ragioni ideologiche (quali?) ma perché non vogliamo fare debiti. Se la cosa non fosse detta da una fonte autorevole, ci sarebbe da ridere. Il Recoivery Fund, invece, cos’è?

Ma l’argomento è tabù. Quanti morti dovremo ancora vedere prima che la ragione si faccia strada sulla permanente ottusità della nostra classe politica?

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