Un accordo fra diseguali
Due grandi Paesi lontani e profondamente diversi per storia e situazioni politiche, non confinanti tra loro, hanno recentemente sottoscritto un accordo venticinquennale molto importante.
I due Paesi sono la Cina popolare e l’Iran.
La Cina è una Repubblica popolare comunista di un comunismo un po’ particolare, appunto, il comunismo cinese, l’Iran è una Repubblica islamica, dopo la detronizzazione dello Scià. Non hanno frontiere comuni e questo facilita le cose come l’essere politicamente, in un certo senso, sono due teocrazie monopartitiche.
Secondo gli esperti, la Cina è prossima divenire la più grande potenza economica del pianeta, superando persino gli Stati Uniti. Con un miliardo e mezzo di abitanti è anche lo Stato con la popolazione più numerosa ed ha un enorme mercato interno da sfruttare mentre è già un gigante economico di primaria grandezza sul piano esterno. Il suo PIL è di circa 20mila miliardi di dollari.
L’Iran conta poco meno di 90 milioni di abitanti, con un PIL di circa 250 miliardi di dollari. A differenza della Cina non è una potenza nucleare e da oltre quarant’anni è in contrasto con gli Stati Uniti, spesso definiti il Grande Satana, proprio perché intende dotarsi di uranio arricchito e di armamento nucleare.
Semplificando, l’accordo sottoscritto è molto importante perché si situa in quella fascia di interessi geopolitici che intravede in un futuro non molto lontano un radicale cambiamento degli assetti internazionali, dando per scontato il declino degli Stati Uniti come potenza mondiale egemone.
Dopo la 2° Guerra mondiale e il trionfo del multilateralismo, infatti, gli Stati Uniti hanno assunto un ruolo di gendarme del mondo che si è rivelato troppo difficile ed oneroso. Nel frattempo la Cina popolare e la Federazione Russa sono diventate potenze di primaria grandezza che contrastano in vari modi il prepotere nordamericano.
Con la Presidenza Trump, i molteplici fallimenti di politica estera e militare americani sono stati il pretesto per il ritorno a una specie di isolazionismo continentale, aprendo un vuoto importante nelle relazioni internazionali. Di qui l’idea di un riassetto generalizzato del sistema del quale si è fatto portatore Putin, con le sue ripetute dichiarazioni in favore di un nuovo sistema multipolare di gestione del mondo.
L’accordo cino-iraniano sembra muoversi in questa direzione, sancendo il principio del non intervento negli affari interni di ciascun Paese. Nulla di nuovo, in verità, perché è dai tempi della Santa Alleanza che vige il criterio che in ogni Paese ciascun governo è libero di operare come meglio crede, senza interferenze esterne.
La differenza tra la situazione di allora (parliamo di due secoli fa) e quella di adesso, è la scoperta dei diritti civili e della democrazia di marca americana.
Non è un mistero che le grandi organizzazioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale e l’FMI e la stessa BEI erogano fondi ai Paesi emergenti alla condizione che i relativi governi siano democraticamente eletti e vengano rispettati i diritti civili delle persone. Sulla scia di questi principi si è mossa, infatti, anche l’Unione europea.
Poi, nella realtà, gli accordi si fanno tutti e i finanziamenti arrivano lo stesso. Basta una mascherata di elezioni fasulle tra partiti tribali, come in Africa, e il gioco è fatto. Questo vale un po’ dovunque e se si getta uno sguardo sul mondo, la maggior parte dei Paesi è retta da oligarchie, da regimi totalitari e intolleranti, spesso guidato da militari.
L’idea americana di esportare la democrazia occidentale nel mondo è fallita. Ciò che si sta facendo strada è la convinzione che nessuna potenza dovrebbe essere militarmente egemone (troppo costoso) e che la competizione fra gli Stati dovrebbe essere solo economica, una tesi che fa gioco, essenzialmente, alla Cina, la maggior potenza commerciale del mondo.
L’accordo cino-iraniano, in realtà, è un coltello piantato alle spalle del subcontinente indiano (India e Pakistan), due potenze nucleari in vistoso riarmo (specie l’India con il potenziamento della sua flotta e i suoi pessimi rapporti con Pechino), peraltro tra loro divisi da questioni religiose e territoriali (il Kashmir). D’altro canto, anche l’India sta emergendo come potenza continentale e può agevolmente bloccare gli interessi cinesi verso il Golfo Persico e le coste africane. Per contrastare l’espansionismo indiano un Iran alleato della Cina va benissimo.
La Cina cerca di espandersi sul mare con la costruzione di isole artificiali e con il potenziamento della sua flotta, contrastando l’egemonia americana (ed australiano-neozelandese) nel Pacifico, insidiando i lucrosi traffici nell’area dove gravitano Indonesia e Filippine.
In questo contesto, la Russia si trova in una difficile posizione, dovendo intermediare fa i suoi quasi alleati: l’Iran, (che le fornisce i droni per bombardare l’Ucraina), il Pakistan (a metà strada fra l’alleanza con gli Stati Uniti e il richiamo islamico), l’India (che Mosca ha sostenuto nelle guerre contro la Cina per la questione del Tibet) e la Cina stessa, con la quale, venuto meno il collante ideologico di un tempo, sussistono rapporti di neutralità “cordiale” (che potrebbero facilmente sfociare in un contrasto, come è già avvenuto con la guerra sull’Ussuri).
Emerge da tutto ciò l’inconsistenza politica di un’Europa la cui unica chance di sopravvivenza è l’attaccamento alla NATO. Finché dura.
Dov’è l’Europa dei nostri sogni giovanili?
Roma, 30 /11/2022
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