I Draghi della finanza.
Il discorso dell’altro giorno di Draghi al Parlamento Europeo è sconcertante per l’ovvietà e la banalità delle sue considerazioni.
Draghi parla un po’ dappertutto, data la sua funzione, ed è costretto, ovviamente, a dire cose che più che altro rassicurano i suoi uditori: il Consiglio della BCE, il Fondo monetario, il Parlamento europeo ed i Governi dell’Unione. Di questo dobbiamo perdonarlo.
La BCE, sotto Draghi, ha fatto l’impossibile per difendere l’eurozona ed il sistema bancario. Occorre riconoscerlo.
Ma, a parte i meriti indubbi della Banca, nonostante la tenace opposizione tedesca, se entriamo nel merito delle considerazioni svolte, sta di fatto che le parole di Draghi suscitano molte perplessità.
Che vuol dire che la BCE continuerà a fare il suo dovere nell’ambito dei poteri che le competono? Nulla, perché Draghi non ha alternative diverse al di fuori delle norme che deve applicare.
Che vuol dire che del bail-in non si può più discutere? La regola esiste e va applicata. Non può essere certo Draghi a metterla in discussione o a deciderne una gradualità, come si vorrebbe da qualcuno in Italia.
Che vuol dire che la BCE non chiederà più alle Banche di capitalizzarsi? O il sistema va a gonfie vele, e questo non pare, o il sistema non è in grado di reggere capitalizzazioni ulteriori. Dov’è la verità?
La situazione economica europea non accenna a grandi risvegli. Qual è la ricetta di Draghi? Udite, udite: meno tasse e più investimenti. L’uovo di Colombo. Sarebbe come dire: moglie ubriaca e botte piena. Dove beve la moglie, se non alla botte? E se beve alla botte, come fa questa ad essere piena?
Se lo Stato riduce le tasse, libera risorse ai privati, ma riduce le proprie. Se l’idea è quella di maggiori investimenti pubblici, dove li prende i soldi lo Stato?
Se, invece, Draghi crede che diminuendo la tassazione globale aumentano risorse tali da attivare investimenti privati, si sbaglia. Gli investimenti che necessitano sono ben più cospicui di quanto sia possibile con una riduzione delle imposte.
Ancora, se si riduce il gettito dello Stato, come farà questo a fronteggiare le proprie spese, amministrative e sociali? Solo riducendo la spesa e contraendo i servizi pubblici. Ciò comporta, inevitabilmente, una stretta sul mercato del lavoro il che, con questi chiari di luna, rende improbabile una tale soluzione.
Ora, a parte facili battute sull’ovvietà delle soluzioni proposte, tipo discorsi da caffè dopo la partita di calcio, il senso di tutto questo discorso del Presidente della BCE è che le norme comunitarie non si cambiano, le risorse d’inventiva della BCE sono pressoché esaurite e la regola d’oro resta sempre la stessa: riforme strutturali, costino pure, in termini sociali, quello che costano.
Non è un bel discorso e non c’è da stare allegri. In Italia le riforme sono come l’Araba Fenice. Tutti sanno che esiste, ma nessuno l’ha mai trovata. Da noi di riforme si parla da decenni, ma poiché la prima delle riforme sarebbe quella di ridurre gli sprechi, tutto il resto è noia, come diceva Califano.
Ridurre gli sprechi costa amicizie, solleva scandali, e Dio sa che non ne abbiamo bisogno. Ogni giorno ce né uno, trasversale, passa dal PD a Forza Italia, dalla Lega al Movimento 5 Stelle e giù per li rami.