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di Stelio W. Venceslai

La vendetta degli Ayatollah



Un nuovo conflitto si sta accendendo in Medio Oriente. Una pioggia di droni e di missili iraniani, a centinaia, è piombata sul territorio israeliano. Non esistono più i confini tradizionali, né terrestri né aerei. Droni e missili travolgono, ormai, le vecchie frontiere degli Stati. Il diritto internazionale è uno straccio consunto. Direi che questa è la prima considerazione che mi viene in mente.

Cerchiamo di capire che cosa è successo.

Il 1° aprile aerei israeliani hanno attaccato l’Ambasciata iraniana a Damasco, uccidendo il generale di brigata Mohammad Reza Zahedi, comandante della forza Quds del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (Irgc) e il suo vice, il generale Mohammad Hadi Hajriahimi Zahedi, responsabile operativo e logistico in Siria e Libano e uomo di collegamento col partito-milizia libanese Hezbollah per la fornitura di armi iraniane nella guerra che da mesi tormenta, nel sud del Libano, gli insediamenti israeliani.

            Un’operazione voluta dl Netanyahu, in Siria, in un Paese vicino all’Iran ma, almeno formalmente, estraneo al conflitto tra Palestinesi e Israeliani ed ai conflitti verbali tra Gerusalemme e Teheran.

            È da pensare che questa operazione sia stata meditata non solo nella esecuzione ma anche per le sue conseguenze. L’Ambasciata, infatti, è territorio iraniano e attaccarlo significa attaccare l’Iran, Paese non belligerante.

            La reazione iraniana non si è fatta attendere. Il regime di Teheran ha fatto sapere al mondo che ci sarebbe stata un’azione di ritorsione. L’attacco si è scatenato nella notte del 13      aprile, per cinque ore, in tre ondate successive, per colpire le basi militari israeliani nel Golan, nel deserto del Negev e nel sud del Paese.

            All’attacco hanno contribuito i Paesi alleati dell’Iran: Gibuti, gli Houthi dello Yemen del sud, le forze hezbollah filo iraniane stanziate nel sud del Libano.

            Il 99% dei missili e dei droni è stato intercettato dalla difesa aerea israeliana e dal concorso di aerei americani, francesi, inglesi e giordani, intervenuti a difesa di Israele.

            Non ci sono state vittime, tranne una ragazzina di dieci anni, rimasta ferita da una scheggia. I danni sembra, altresì, che siano irrilevanti.

            In conclusione, l’attacco sarebbe fallito e la difesa di Israele ha retto, anche se con il concorso degli alleati. Biden sostiene, infatti, che Israele ha riportato una vittoria.

            Dall’altra parte, quella iraniana, s’inneggia a questa operazione considerata un trionfo perché ha dimostrato:

1.    che Israele può essere attaccato direttamente e solo grazie agli alleati ha potuto stornare il pericolo;

2.    che l’Iran può reiterare ulteriori attacchi, ben più massicci e pericolosi;

3.    che sul piano interno iraniano l’opposizione al regime è stata placata dall’accresciuto orgoglio nazionale per l’impresa;

4.    che l’Iran esercita ormai un’influenza importante in un’area mediorientale   estremamente delicata.

            La vittoria ha sempre molti padri e qui non si fa eccezione. Ma ciò che è importante sono le premesse e le conseguenze.

            Sul piano diplomatico l’Iran non aveva fatto mistero delle sue intenzioni. Alle Nazioni Unite ha comunicato preventivamente che intendeva reagire in autodifesa contro l’aggressione israeliana di Damasco ed ha poi fatto sapere che per loro la partita è chiusa se Israele non reagirà.

Gli occhi, adesso, sono puntati su Gerusalemme. Come reagirà Israele? Netanhyau è pericolosamente imprevedibile, come sta dimostrando l’impresa di Gaza: un massacro senza senso e senza obbiettivi, trascinando il suo Paese in un isolamento internazionale senza precedenti. Aprire una spirale di confronto con l’Iran potrebbe essere devastante per tutta la regione.

            È inevitabile pensare che la partita non si chiuderà così, ma gli Stati Uniti hanno già fatto sapere al loro protetto che non intendono farsi coinvolgere in una guerra contro l’Iran. Sono disposti a difendere Israele (300 miliardi di $ in quarant’anni di forniture di armamenti!) ma non ad intervenire a sostegno di qualche impresa scervellata di Netanyahu, tipo bombardamento degli impianti nucleari iraniani. D’altro canto, neppure l’Iran vuole entrare in guerra con gli Stati Uniti.

            L’Occidente, in senso lato, è con Israele aggredito, ma quante volte ha aggredito Israele senza nessuna condanna o deplorazione, ad eccezione di quelle di Gutierrez, il Segretario generale delle Nazioni Unite? La dichiarazione della von der Layen, a nome dell’Unione europea, che condanna “l’aggressione” iraniana è inutile acqua fresca: il solito balbettio d’impotenza.

            Gli Stati Uniti hanno il manico della pentola in mano. I rapporti con Netanyahu sono già tempestosi, ma Netanyahu non è Israele. Se lui è un irresponsabile ci vanno in mezzo i rapporti tra Gerusalemme e Washington. Finché resterà al potere è una mina vagante. Il gabinetto di guerra convocato, minacciando ritorsioni, si è concluso con un nulla di fatto. Il peso degli Stati Uniti si è fatto sentire.

Israele è accerchiato e potrà vivere solo con l’ausilio dei suoi alleati, se non fa colpi di testa. Israele ha il diritto di vivere ma anche l’Iran ha il diritto di difendersi e di reagire. Sarà pure un regime di preti e di fanatici, ma in questo momento, almeno secondo me, è dalla parte della ragione.

            È la prima volta che l’Iran interviene direttamente in questo conflitto e non tramite la sua longa manus degli Hetzbollah in Libano. Ciò dimostra un’assunzione di responsabilità e una presa di potenza non trascurabili. Un fatto nuovo di cui occorre tener conto.

            Il riassetto del mondo e la transizione dal monopolio americano dipenderanno dalle mosse israeliane e dal peso delle decisioni di Washington.


La foto sul sito di Limes (https://www.limesonline.com/), mostra: [Manifestanti alzano una foto dell'ayatollah Khomeini durante una protesta a Teheran contro lo Shah, gennaio 1979 - foto AFP/Getty Images - che si ringrazia vivamente] 

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