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  • di Diplomaticus

Eurexit


L’Inghilterra farà a luglio un referendum sull’opportunità di restare ancora nell’Unione Europea. Conservatori e Laburisti sono divisi, il Sindaco di Londra, uomo influente, si è schierato con il no, gli Scozzesi, per parte loro, sono invece favorevoli ed il loro consenso rafforza la richiesta d’indipendenza dall’Inghilterra, il governo è diviso e già cinque Ministri si sono dichiarati contrari a restare nell’Unione.

La City è preoccupata e la sterlina, perché le conseguenze pratiche di una decisione contraria all’Europa potrebbero essere terrificanti per l’economia. In sostanza, il Paese è diviso.

Ancora una volta l’Inghilterra si pone come un problema istituzionale per l’Europa. All’atto dell’adesione, infinite furono le eccezioni approvate, pur d’inserire Londra nel contesto europeo, e l’Italia si dette molto da fare per favorire questa adesione.

Come partner, è stato quasi sempre un “bastian contrario”, fautore di un regime speciale rispetto a tutti gli altri membri della Comunità, ma, indubbiamente, il peso politico della presenza britannica e del suo Commonwealth nell’Unione era più rilevante di qualunque eccezione.

Quando l’Inghilterra ha rifiutato l’euro e si è sempre di più defilata dalle riunioni e dagli impegni comunitari, è emerso con maggiore chiarezza il sostanziale disinteresse politico di Londra. Ora, con l’ultimo accordo varato a Bruxelles, per dar man forte al Premier, che farà la campagna del referendum sostenendo il sì, di fatto l’Inghilterra non è più un membro a parete intera della Comunità, ma una specie di membro associato, con pochi doveri e molte pretese. In pratica, resta dentro ma, a casa sua, può far quel che vuole, specie in materia d’immigrazione. L’accordo è politico, ma nullifica l’essenza stessa dell’Unione.

Euroexit? È probabile.

La situazione europea è ad una svolta importante: può essere la continuazione di una lenta agonia oppure l’avvio di un processo istituzionale diverso, tipo federazione di gruppi di Stati.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica i Paesi dell’Est si affrettarono a chiedere l’adesione all’Unione e vi fu un momento nel quale l’Europa sembrava che potesse essere realmente unita ed esercitare un ruolo politico mondiale. Alcuni saggi commentatori non erano d’accordo: troppo diverse le economie di questi Paesi già irreggimentati nel Comecon comunista. Sostenevano che sarebbe stato più opportuno riunirli in una specie di Comecon 2 per far maturare quelle condizioni economiche che solo in un secondo tempo avrebbero potuto permettere un’adesione all’Unione Europea. Ma così non è stato, e tutti i loro problemi sono diventati i nostri problemi.

Ora, poiché geopolitica e geo-economia non sono acqua fresca, ma realtà, la minore forza propulsiva dell’Unione e la crisi economica che sta devastando l’Europa stanno determinando ciò che allora non si volle.

La pressione dell’immigrazione ha creato proteste, rifiuti, muri di confini. Altro che Schengen! Gli ex Paesi dell’Est sono un gruppo di Stati, Ungheria in testa, che contesta il diritto comunitario e gli accordi di ripartizione dei profughi. Bulgaria, Romania Slovacchia, Repubblica Ceca e, seppure in modo meno manifesto, Polonia e Paesi baltici, Slovenia e Croazia sono sulla stessa lunghezza d’onda. Europa sì, ma ognuno a casa sua decide quel che deve fare. Per altri motivi e con ben diverse economie, anche Finlandia, Austria e Danimarca sono sulla stessa linea.

In fondo, tutto ciò non è molto diverso da quel che ha chiesto ed ottenuto l’Inghilterra, in vista del suo referendum.

In questo modo, l’Unione Europea ha poco di unito e molto di disperso. L’asse franco-tedesco che, sino ad ora, ha retto il peso della politica europea non è più tanto solido come un tempo. La Francia è piena di problemi, la Germania comincia ad averli e l’indiscusso potere della Merkel ha parecchie incrinature. L’Inghilterra o se ne va o sarà sempre più lontana. All’Est c’è poco da sperare con questo violento rigurgito di nazionalismi. La Grecia è in un mare di guai. Conta poco, costa molto, in bilico fra l’andar via o l’immiserirsi sempre di più.

Restano la Svezia, filo britannica, la Spagna, l’Italia e il Benelux, ancorato ai destini tedeschi.

Se aggiungiamo la crisi economica, la mancanza di una politica estera e della difesa (ma in queste condizioni, improponibile), cosa resta? C’è uno sfarfallamento dell’Unione e questo spiega tanto euroscetticismo.

Devo dire che l’ottimismo renziano, con un documento ben fatto, presentato recentemente a Bruxelles, cerca di dare un rilancio alle politiche dell’Unione, specie in materia d’investimenti. Purtroppo, non c’è stata nessuna preparazione diplomatica e le proposte italiane rischieranno la fine di tutti grandi progetti: il cassetto.

L’Italia si batte perché l’Europa sia una realtà efficiente e positiva, non un guazzabuglio d’impotenze e di velleità, ma il suo isolamento diplomatico è eloquente. I Paesi orientali dell’Unione, in questi giorni, hanno indetto una loro conferenza, con la Grecia e con l’Austria, per coordinare le loro politiche anti-immigratorie. L’Italia non è stata neppure invitata. L’Ungheria, inoltre, annuncia un referendum popolare sulla questione. Quel che ha fatto l’Italia con Mare Nostrum è dimenticato. Non ci si può mettere contro tutti e pensare di aver ragione.

È auspicabile che il buon senso prevalga sullo scetticismo. L’Europa ci ha dato molti problemi, ma una cosa ineguagliabile: settant’anni di pace. Niente guerre, niente distruzioni e morti. Per millenni gli Europei si sono scannati fra loro per una colonia in più o per una credenza religiosa diversa. Credevamo che questo tempo fosse finito. Non dobbiamo dimenticarlo.



Roma, 24 febbraio 2016.

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