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Il buonismo e Don Abbondio


Ora che il mostro del NO non sembra più tale e ci si dovrà convivere, le analisi pre-elettorali appaiono tutte falsate. A sentire il Governo ed i fautori del SI, se avesse vinto il NO sarebbe stato un disastro, soprattutto finanziario: borse in perdita, sistema bancario in crisi, l’Italia nazione reietta dal consorzio delle genti. Stupidaggini di una classe politica da quattro soldi, propagandate dai media, i soliti servi del potere.

C’è da chiedersi chi e cosa rappresentino questi politici, eletti e nominati grazie a leggi illiberali, e perché i media siano sostanzialmente schierati sulle loro posizioni. Ma, soprattutto, mi chiedo chi comprenda, difenda e rappresenti l’opinione pubblica di quel 70% di elettori che ha votato NO.

La stragrande maggioranza del Paese, con un’affluenza alle urne senza precedenti, non è rappresentata da nessuno. Si è presentata da sola, a testimoniare la sua dissociazione dal potere e dal sistema che l’ha generato. Dalle analisi post referendarie emerge che, grosso modo, i “vecchi” avrebbero votato SI ed i giovani NO. Agli occhi di chi ha votato NO, Renzi è un “vecchio” ed altrettanto vecchio il suo governo, nonostante la giovane età di alcuni dei suoi Ministri.

Adesso, ma solo adesso, si desume che tutti, o quasi tutti, soffrivano di depressione, inneggiando al renzismo pur costatandone, in cuor loro, tutti i difetti, ma guardandosi bene dall’esporli. Come diceva il Manzoni, a proposito di Don Abbondio: “Il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare.”

Ora, i giochi si faranno sempre con la stessa casta rifiutata dalla maggioranza del Paese, almeno fino a quando non si arriverà a nuove elezioni.

Ciò che mi preme, invece, di sottolineare, è la dissociazione profonda tra il Paese reale e il Paese formale, fra la constatazione quotidiana delle difficoltà della gente, l’insicurezza personale e finanziaria delle persone, l’incertezza profonda sul futuro e l’esasperante serie di sciocchezze, vanterie e bugie della classe dirigente, che di tutto si è occupata tranne che dei problemi economici del Paese. L’ISTAT ci dice ci sono quasi 18 milioni d’Italiani poveri o che vivono alle soglie della povertà e che nel Meridione quasi il 50% della popolazione è in queste condizioni.

Mance e mancette, marchette elettorali e programmi altisonanti dietro ai quali c’è soltanto il vuoto di pensiero, di quattrini e di progettazione sono stati l’eredità del governo Renzi, che lascia una situazione drammatica, peggiorata del 24% rispetto al 2008. Un successo. Un esercito squinternato d’inesperti (il cerchio magico toscano) e qualche vecchio relitto del post comunismo hanno dato una chiara e convincente prova della loro “straordinaria” efficienza (secondo le parole di Renzi.)

La realtà italiana, purtroppo, è un’altra cosa.

Il fallimento della globalizzazione, dal punto di vista dell’economia occidentale, è sotto gli occhi di tutti. Aprire i mercati senza un ombrello di protezione almeno sanitario e merceologico ha impoverito l’Occidente, l’ha costretto a delocalizzazioni perverse che si sono ritorte sui mercati occidentali, ha fatto lucrare il capitalismo internazionale e creato disoccupazione per milioni di lavoratori. La conseguente crisi economica ha aggiunto molto del suo, assieme agli effetti delle varie guerre sanguinose in corso in Africa ed in Medio Oriente.

Milioni di diseredati, per varie ragioni, affrontano i rischi di un esodo, spesso mortale, per approdare in un’Europa che credono ricca ed efficiente, cristiana e solidale e che, invece, è attraversata da una profonda crisi d’identità, oltre che economico-sociale di primaria grandezza. Anche questa è una delle conseguenze di una fallimentare visione globalizzatrice.

È necessaria una profonda revisione dei criteri che fin qui hanno ispirato i vari trattati di liberi scambio. Occorre ribadire con chiarezza che la libertà degli scambi è subordinata all’equivalenza “sostanziale” e non formale dei prodotti oggetto dell’intercambio.

Tirando le somme, da trent’anni a questa parte, a furia di parlare di diritti umani e di lasciare le redini dell’economia ai faccendieri, l’Europa (e con essa l’Italia) si trova a sostenere posizioni assurde. I diritti umani ci sono esplosi in faccia con il portafoglio vuoto. Il fallimento è stato voluto, con pervicace incoscienza. Tutto il sistema politico occidentale, salvo limitatissime eccezioni, ha sognato, mentre gli altri facevano affari. Ora, l’establishment tradizionale è in crisi: intellettuali, giornalisti, politici, sondaggisti.

Discettano tra loro, sorpresi dagli avvenimenti, e continuano a non rendersi conto che il mondo è crudelmente cambiato, che i loro miti si sono rivelati tali e che i mali endemici del pianeta, se possibile, sono aumentati. Gli affari sono una cosa seria nelle mani degli altri, se sono liberi di truffare, speculare, arraffare e corrompere.

Il risveglio politico è cominciato in Francia, con la Le Pen, è seguito in Inghilterra, con Farange ed il successo della Brexit, si è rafforzato nei vecchi Paesi dell’est ora membri della NATO e dell’Unione europea, è diventato scandalosamente palese con il successo imprevisto di Trump. Ora toccherà pronunciarsi all’Olanda, prima della Germania e della Francia.

È andato in soffitta tutto l’armamentario buonista e impotente che ci ha governato fino ad ora. Ci sarà pure qualche ragione perché ciò sia potuto accadere. La ragione è che quando c’è una crisi, c’è poco da filosofare. Quando c’è una crisi, ci si chiede chi l’ha provocata. E quando si scopre chi ne è stato il responsabile, lo si punisce, in un modo od in un altro.

Qualunque governo esca fuori da Mattarella dovrò lasciare da parte i sogni e le esibizioni di grandezza ed operare con urgenza sull’economia del Paese. Le alchimie politiche, i “tavoli” delle trattative, tutto l’armamentario del passato non servono più. Quando il popolo comincia ad avere fame, le chiacchiere stanno a zero. La Corte costituzionale ha un compito grave ed urgente. Dopo, non ci saranno più scuse per prolungare questa agonia.



Roma, 7 dicembre 2016.


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