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Panorama d'agosto


Alla viglia delle vacanze estive, chiuso il Parlamento, sopite al momento le consuete polemiche politiche sul nulla, è possibile fare qualche riflessione sul nostro sistema politico e sulle sue reali prospettive di sopravvivenza.

A sinistra dello schieramento c'è un insieme di formazioni politiche che sono più un'ipotesi ideologica che un'alternativa elettorale.

Dopo il referendum costituzionale fallito, il PD è in forte calo. La sconfitta di Renzi ed il suo insistere su un carisma ormai appannato hanno fatto il resto. Il PD è il frutto di un lungo compromesso fra l'ex ala di sinistra democristiana e l'ala di centro sinistra, socialisteggiante del vecchio PCI.

Un compromesso politico che ha dato significativi risultati elettorali ma che poi è caduto nelle difficoltà consuete di chi governa: pochissime idee, traguardi sbagliati o lontani dalla realtà, insufficienza qualitativa degli uomini chiamati a dirigere le sorti del Paese, schiacciati dal protagonismo inconsistente del Segretario del partito e Presidente del Consiglio, ora peripatetico venditore di pretesi successi in giro per l'Italia, per acquisire consensi.

Il governo clone di Gentiloni, che gli è succeduto, paradossalmente, ha messo in vista personaggi che prima erano inesistenti, ma questo non basta che a sopravvivere.

La constatazione di questo fallimento ha provocato una scissione a sinistra dove sono confluite vecchie e nuove personalità dell'ex partito comunista, da Bersani e D'Alema

a Cuperlo e Speranza. La nuova formazione è a sinistra del PD ma è in cerca di una definizione di se stessa. Sto parlando di Articolo 1.

Contemporaneamente, a Milano c'è un'altra iniziativa, promossa dall'ex sindaco, Pisapia, volta a fare una “nuova sinistra” che potrebbe, forse, fare un accordo con Articolo 1. Se andiamo accora più a sinistra, troviamo “i puri”, con Sinistra italiana, in perenne dissidio con il PD. Il paradosso è che mentre il frazionismo a sinistra prospera, la coalizione di governo si regge con il consenso di gruppi politici in collisione fra loro.

Dall'epoca della prima scissione di Livorno, che vide la nascita del PCI, il frazionismo è il male endemico della sinistra. Finita l'epoca del totalitarismo, è cominciata quella del leaderismo, ma per essere dei leaders occorre essere uomini con carisma, e qui cade l'asino. Povera gente, imbevuta di vecchie dottrine che si affanna a definirsi progressista, quando il progresso viene da fuori, da sopra e da sotto, ma non certo dalle loro idee. Quest'incapacità radicale di comprendere il mondo moderno, internazionalizzato, globalizzato, tecnologizzato, che ha spiazzato il sindacalismo tradizionale, è incapace di porre un freno all'avidità del grande capitale e delle banche che lo sostengono, e di dare una risposta alle esigenze della popolazione, vecchie e nuove.

Non si tratta, però, di una difficoltà solo della sinistra. Se Atene piange, Sparta non ride. A destra le scissioni attorno al feretro di Forza Italia si sono moltiplicate, dando vita a strutture più compatte, rispetto a quelle della sinistra, ma il discorso è lo stesso.

Berlusconi è uno spettro dipinto, al limite del grottesco, convinto di avere ancora in mano il consenso di milioni di Italiani, con un piccolo gruppo dirigente rimasto attaccato al padrone delle ferriere. Crede fermamente in un ennesimo Patto del Nazzareno con Renzi, come se l'unione di due zattere significasse la salvezza da un naufragio. In realtà, sono due miti infranti.

Il fatto è che la destra, virtualmente, è una forza importante che potrebbe essere decisiva nella prossima campagna elettorale, ma presuppone un'idea comune, che non c'è, e leaders affidabili, che non ci sono.

La Lega, rivisitata da Salvini, è il nocciolo duro, ma il suo spazio nel Paese, specie nel Meridione, è limitato, perché soffre delle idiozie a suo tempo propalate da Bossi. Inoltre, certe prese di posizione di Salvini sull'euro e sull'Europa, anche se ha di molto abbassato i toni dopo la sconfitta della Le Pen, sgomentano i benpensanti. La destra vuole stabilità, non la rottura di equilibri consolidati.

Fratelli d'Italia segue a ruota, come un piccolo satellite. Ha un nucleo di fedelissimi, in parte nostalgici delle maniere forti, ma conta poco.

Poi ci sono Fitto e Toti, due giovani speranze, ma con prospettive troncate. Fitto si è reso indipendente da Berlusconi,. Ha un certo seguito nel Meridione, specie dopo le sbrasate di Emiliano, il suo più diretto competitore, ma da qui ad immaginarlo come un leader di caratura nazionale, ne corre.

Toti è la più importante minaccia del nuovo nel corteo funebre di Forza Italia e porta il successo del suo accordo con la Lega a Genova ed in Liguria. Mi chiedo se questo, in realtà, non faccia ombra a Berlusconi che vorrebbe essere l'asso piglia tutto.

Se Atene e Sparta piangono, a Butrinto non si ride. Lo squallido centro, tra Alfano, Verdini, Cicchitto, Monti, Casini ed altri dovrebbe scomparire per il bene della nazione. Non sarà così, se in SIcilia Alfano cerca, per sopravvivere, di fare un accordo con Forza Italia, che a suo tempo ha tradito.

Resta la grande incognita di 5Stelle, auspicata da molti e, in fondo, poi, da tutti temuta. Forse riuscirà loro il colpaccio in Sicilia che, però, non meriterebbe un altro governo alla Raggi.

In conclusione, questa pausa estiva permette di riflettere. Non sono riflessioni piacevoli, ma il sistema è quello che è: una sinistra divisa ed irresponsabile, una destra supponente ma divisa e mal gestita da un vecchio leader cui, nella sostanza, non da più retta nessuno, una situazione economica caratterizzata da gravissimi squilibri cui non si ha il coraggio di porre rimedi.

La situazione internazionale (v. caso Libia), a sua volta, con un governo debole, che si è cacciato in una situazione inestricabile, è preoccupante. Ma questo sarà un problema per le prossime settimane, fuori competizione elettorale.

Ciò che ci deve preoccupare è la trama del sistema politico nazionale, che è pericolosamente sfilacciata.

Roma, 6 agosto 2017.

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