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Il declino di Forza Italia


Qualcuno dei miei lettori si è lamentato con me, con molto garbo, per il fatto che ho definito Forza Italia un partito in declino.

In realtà, il suo declino è cominciato molto tempo fa, da quando Berlusconi è stato condannato ed estromesso dal Senato della Repubblica. Con un leader così azzoppato, non c'era da farsi molte illusioni sul futuro del partito né l'onda dello sgomento popolare per un tale attentato alla sovranità del leader è stata tale da generare una spinta controcorrente. Tutt'altro: morto un papa se ne fa un altro. E' una vecchia regola.

Il fatto è che il papa non è morto (anzi, auguro a Berlusconi di campare a lungo) ma un nuovo papa non s'è visto. E' sempre lo stesso, anche se un po' ammaccato.

Attorno: i fedelissimi, tutti assopiti o asserviti, ma nessuna idea. In questi anni in cui Berlusconi ha giustamente covato ambizioni di rivincita, Forza Italia ha perduto consensi, poltrone, regioni e comuni. La sua politica, se vogliamo chiamarla così, è stata sotto traccia, fungendo da centro di attrazione e di sdoganamento per la vecchia Lega di Bossi e per Fratelli d'Italia (eredi di An, a sua volta erede del MSI). Poi, i figliocci sono decollati. La nuova Lega, con Salvini, ha moltiplicato i consensi e doppiato Forza Italia, Fratelli d'Italia, superata la soglia del 4%, sta crescendo, almeno a vedere i sondaggi, fin quasi a raggiungere Forza Italia che, per converso, nelle ultime elezioni, ha visto un calo crescente dei propri consensi.

La crisi di Forza Italia deriva dalla progressiva perdita di prestigio e di popolarità del suo leader, nostalgicamente convinto di avere ancora qualcosa da dire al suo elettorato. Forza Italia non né è un partito né un movimento, ma un partito-azienda medio borghese, incentrato sulla figura di Berlusconi e sulle sue fortune politiche (quando c'erano).

Berlusconi è tuttora convinto d'essere l'ago della bilancia del potere politico in Italia, forte del numero attuale dei suoi rappresentanti in Parlamento, un numero che, però, non corrisponde più alle fortune elettorali di Forza Italia. Per un anno si è illuso di poter imbrigliare Salvini, richiamandolo all'ovile della coalizione di centro-destra, ma in realtà è accaduto il contrario. La Meloni (FDI) e una parte consistente di Forza Italia (Toti) sono sempre più prossimi alla Lega.

Perduta la responsabilità di governo, con il passaggio dei poteri a Monti, Berlusconi oscilla da sempre fra un tentativo di accordo con il PD, ai tempi di Renzi (v. il cosiddetto Patto del Nazzareno), miseramente naufragato con l'elezione di Mattarella alla Presidenza della Repubblica, e l'ambizione di essere il punto di riferimento del centro-destra, fallito con la forte ascesa della Lega di Salvini.

La vecchia guardia dei fedelissimi della prima e della seconda ora, in parte finita in galera, in parte emigrata altrove (v. Lupi, Verdini, Alfano), si assottiglia sempre di più. Le new entries, come la Carfagna e Toti, lo stanno abbandonando. Brunetta è in isolamento, gli restano solo Tajani, la Bernini e la Casellati, oltre alla Gelmini. D'altro canto, non ha mai voluto né congressi né dibattiti né una classe dirigente autonoma, lui essendo l'unico e l'assoluto, incontestabile leader dell'azienda Forza Italia, che è una sua creatura.

Ora, questa creatura è asfittica. Le manca l'aria di un elettorato numericamente consistente. L'idea di un centro-destra guidato da Forza Italia non regge più e Berlusconi pensa di spostarsi al centro, con l'illusione di diventare l'asse portante di nuovi equilibri politici. Berlusconi pensa di avere ancora il carisma necessario per invogliare soprattutto quelli che non votano, gli astensionisti, a formare “L'altra Italia”, quella che politicamente non c'è, illudendosi di poter ricostituire un centro tra la destra e la sinistra, genericamente intese. Ma la Lega è di destra? Il Movimento 5Stelle è di sinistra? Berlusconi si muove convinto che il mondo non sia cambiato. Ma è un'ipotesi senza riscontri oggettivi.

Undici anni consecutivi di crisi economica hanno squassato il Paese, rimescolato le classi sociali, hanno distrutto il ceto medio e stravolto le stesse istituzioni. Tecnologia e globalizzazione hanno coinvolto tutti: operai, studenti, contadini, insegnanti, artigiani e professionisti, militari e impiegati. Le vecchie categorie marxiste sono sparite e, con esse, le contrapposizioni politiche tradizionali.

A destra sussistono alcuni gruppuscoli privi di importanza numerica. Fanno baccano, si armano di tute, caschi e manganelli, vociano e sbandierano appena possono, ma contano poco più di zero. E' folklore più che altro.

Poi c'è il partito della Meloni, un po' primatista, che ha dichiaratamente sposato la posizione “sovranista”, erede in parte della destra liberal-borghese e centralista allo stesso tempo, nostalgico delle imprese di Stato in economia e di un ruolo un po' meno passivo in politica estera. Molto più vicino alla Lega di Salvini che alle evoluzioni politico-ideologiche di Berlusconi. Un partito che si sta qualificando con una classe dirigente migliore, a partire da Crosetto, la vera testa pensante del partito.

All'estrema sinistra, in analogia con l'estrema destra, allignano bande di contestatori utopici, anarchici, black blok con caschi, spranghe, droga e idee confuse, più interessati a spaccare vetrine che a fare la rivoluzione.

Poi, al centro della sinistra, c'è il PD, in vena di scissioni e di apparentamenti, spiazzato dal Movimento 5Stelle, che gli ha scippato la socialità (salario minimo, reddito di cittadinanza, riforma dell'ordinamento giudiziario), tutte cose che la sinistra avrebbe potuto fare e non ha fatto, isterilendosi in diatribe personali e baloccandosi in congiure di palazzo da quattro soldi. In genere, bella gente, anche intellettuali di peso, ma di pochissima sostanza operativa. Il nuovo Segretario, Zingaretti, è un brav'uomo, ma non basta. Non fa che ripetere ovvietà, anche perché non ha idee né altri della congrega gliele danno.

In mezzo, c'è il vuoto: sparuti partitini al centro che vivacchiano in Parlamento. Qui Berlusconi punta sulla sua rinascita personale e su quella di Forza Italia, illudendosi che cambiarne il nome sia determinante.

I due giganti (numericamente intesi) della Lega e di 5Stelle sono fuori, al governo. Litigano, ma governano, e questo spiega l'afflusso delle adesioni a questi partiti che hanno il potere reale.

In conclusione, Forza Italia affonda, sgretolata dal mancato consenso, dalla delusione da parte di molti dei suoi fedeli, dal passaggio ad altre bandiere di personaggi di un certo peso. L'idea di rivitalizzare un centro politico fra i due schieramenti classici di destra e di sinistra è vecchia e, credo del tutto fuori moda. Puntare su questa ipotesi, illudendosi di poter crescere appoggiandosi ora da una parte e ora da un'altra rischia d'essere fallimentare, perché, ormai, i numeri sono tutti altrove.


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