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  • di Stelio W. Venceslai

Mare nostrum


Può sembrare lunare, in questo periodo in cui si cumulano molteplici fattori di crisi, parlare di mare.

Eppure il mare che circonda la penisola è un fattore strutturale permanente della nostra politica e della nostra economia.

Forse, appunto per questo, i governi che si sono succeduti al timone del Paese l’hanno perennemente trascurato. Le conseguenze si vedono ed esercitano effetti che andranno ben al di là della pandemia o della crisi del governo Conte. L'Italia ha, all'incirca, 9.000 km di coste. È piantata in mezzo al Mediterraneo come un ponte incompiuto o un molo tra il continente europeo e quello africano.

Inoltre, l’Italia ha una flotta relativamente moderna tra le maggiori flotte militari del mondo. Ragioni economiche, politiche e militari fanno dell’Italia il più importante Paese del Mediterraneo.

Ciò nonostante, le cose vanno diversamente e nel già Mare Nostrum scorrazzano navi americane, russe, turche e cinesi. Poco male se fosse chiaro che il Mediterraneo è, nella sostanza, una pertinenza italiana. Qui non si tratta di fare una politica di potenza, ma di esistere, come una componente fondamentale degli equilibri marittimi (e politici) di casa nostra, e di tutelare i nostri interessi.

Anni di disordine, d’indifferenza colpevole, d’incapacità, hanno ridotto l’Italia ad essere solo un approdo di rifugio per gli immigrati. Per il resto, la nostra proiezione, almeno politica, sul Mediterraneo è inesistente.

Una tradizionale concezione politico-economica nostrana si rivolge verso il Settentrione come se i nostri sbocchi sul mare fossero inutili e, in fondo, imbarazzanti e perniciosi.

Anche nel contesto politicamente conteso in Italia del Recovery Fund, dove si dovrebbero indicare e sviluppare i presupposti di un risveglio economico e di una ristrutturazione del sistema paese, il mare occupa un posto modestissimo, come se si trattasse di un elemento insopprimibile, ma non gradito.

La Rivista italiana di geopolitica, Limes, nell’ottobre scorso, ha pubblicato uno studio complesso, di oltre 350 pagine, sulla non voglia italiana di occuparsi del proprio mare e sulle conseguenze di questa disaffezione.

È una lettura che dovrebbero fare tutti, soprattutto i nostri politici e uomini di governo, specie il nostro Ministro degli Esteri, se sanno leggere (non c’è da farsi illusioni: scuole malfatte e nozioni dimenticate), perché sarebbe opportuno che pensassero che il mare che bagna le nostre coste non è solo un tramite per ricevere immigrati o per prendere il sole d’estate.

L’Italia non è più una potenza marittima, ma un ostello marino di passaggio per trafficanti vari. Una specie di nave-grill sull’autostrada del mare.

D’altro canto, non c’è da stupirsi, visto come stanno andando le cose. Una crisi pandemica che sembra incontrollabile, una crisi economico-sociale gravissima, una crisi nei programmi di vaccinazioni, una crisi di governo(forse, quella meno importante).Chi si preoccupa del mare? Nessuno. È l’ultimo dei nostri problemi ma sarà anche uno dei primi quando si dovrà affrontare la ricostruzione del Paese in chiave ambientale.

I trasporti, nel mondo moderno, vanno per mare, non sui camion dell’Iveco (già Fiat) non sulle autostrade strette, inquinate e affollate della penisola. Per privilegiare la Fiat è stato abbandonato il trasporto marittimo e quello ferroviario e, oggi, se ne pagano le conseguenze.

I ben 54 porti di cui disponiamo, tranne Trieste e Genova, sono inutili per le grandi petroliere e le grandi porta container.

La nostra flotta militare bordeggia con cautela al largo della zona economica libica non riconosciuta da nessun Paese del mondo e, allo stesso tempo, si esita a proclamare la “nostra” zona economica nel Mediterraneo. Il lassismo non paga.

Da decenni i nostri pescatori sono sbeffeggiati dalle motovedette tunisine, che fanno sequestri per cui paghiamo indennizzi senza reagire.

Sono cinque anni che il governo del Cairo prende in giro l’Italia dopo la tortura e l’assassinio di un nostro compatriota. Il caso Regeni continua a riempire le cronache. Una tragedia umana che palesa al mondo la nostra impotenza. Sarebbe bastata, forse, una pacifica dimostrazione aeronavale per indurre alla ragione una dittatura che si fa forte dei quattrini che le dà l’America per acquistare i nostri prodotti. Cinque anni di dinieghi e di schiaffi in faccia, come se fossimo un Paese di quart’ordine. Anche questo è Mediterraneo.

Cento anni fa la Marina italiana dell’Italietta ottocentesca sloggiava quella turca dalle coste libiche. Oggi la flotta turca attracca tranquillamente su quelle coste e i Turchi addestrano la guardia costiera libica sulle stesse navi che l’Italia ha graziosamente donato alla Libia per bloccare il traffico degli emigranti.

A quando il ricatto turco nel Mediterraneo come nei Balcani, a proposito di flussi migratori? Dovremo chiedere l’intervento delle flotte francese o tedesca per affermare i nostri diritti sul questo mare?





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