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  • di Stelio W. Venceslai

Populismi da strapazzo

Il mondo sta cambiando così rapidamente che stentiamo non solo a seguirne gli eventi ma, addirittura, a comprenderne i meccanismi.

Esiste una dissociazione crescente fra la realtà cui siamo abituati e l’evoluzione del sistema. Usiamo con parole e concetti vecchi per un mondo diverso. Non ci capiamo più nulla e viviamo allo sbando, in preda all’ultima novità sbandierata dai media.

Il divario tra ciò che conosciamo e ciò che accade è sempre più ampio. In politica ci siamo abituati alle scorrerie, alla corruzione, all’evasione, alle menzogne. Nessuno alza la testa per dire: ma di che stiamo parlando?

Il male è endemico, non solo italiano, ma diffuso in tutto l’Occidente. I populismi crescono. Cosa sono? Il termine, di per sé, non è dispregiativo. Sa di popolo, di gente comune, di democrazia. Il popolo è demos, ma tra democrazia e populismo sembra che ci sia un abisso. In realtà, l’abisso è solo culturale. Chi fa politica dovrebbe essere informato, pensare e provvedere per tutti, tenendo a mente il futuro. Non si governa solo per l’oggi, ma per la collettività e per l’avvenire.

Questo non accade. Si tira avanti una barca che dondola in acque non sempre tranquille e che non si muove. Manca la cultura della politica, manca un’élite culturale che indichi, bene o male, una via da seguire. La cultura non è parlare di arti visive od animate, non è letteratura, non è aprire i musei o fare dei percorsi turistici, È sintesi, intuizione, proiezione. È etica.

La nostra democrazia occidentale pecca di presunzione ed è ammalata d’incultura. I nostri governi sono democratici ma, in realtà, populisti, perché presumono di andare incontro alle esigenze del popolo, se coincidono con le loro. Ma solo per l’oggi. Siamo consumando la nostra civiltà.

Per questo la nostra è una democrazia malata.

Prendiamo, ad esempio, la Francia. Questa nostra grande sorella latina si avvia alle elezioni presidenziali. Tre candidati su quattro, in modi diversi, sono inquisiti dal potere giudiziario. In un sistema etico sarebbero impresentabili. Per l’elettorato francese questo non ha importanza. Forse l’esempio italiano li ha contagiati.

Fra i quattro candidati primeggia il nazionalismo un po’ retrò della Le Pen. È la candidata che, almeno stando ai sondaggi, avrà il maggior numero di voti, ma non vincerà, perché il sistema elettorale vigente le precluderà, molto probabilmente, la vittoria. Forse questo correttivo sarà una fortuna per gli europeisti, ma perché potrebbe vincere? Perché la Le Pen ha così tanti consensi? Perché è populista, sogna una Francia egemone, la gloriosa grandeur napoleonica. Emotivamente mi piace, anch’io sogno la romanità imperiale, il rinascimento, ma che senso ha tutto questo con il presente? Davvero la Francia ha la dimensione militare, culturale scientifica, politica, per essere da sola nel mondo? Non è neppure pensabile.

Un’Inghilterra nazionalista può avere senso solo se stretta agli Stati Uniti e se i vecchi Dominions la seguissero nelle sue future vicende politiche. Da sola sarebbe solo un’isola pretenziosa e lontana.

Oggi, nel mondo, esistono solo due o tre grandi potenze palesi (USA. Russia, Cina), che politicamente dettano legge al pianeta, ed un’altra, occulta, quella dei banchieri, che regola le vicende economiche e finanziarie mondiali. Il resto è nulla.

Rebus sic stantibus, il populismo è solo un modo per acquisire il voto degli scontenti. E’ un modo per fare cabotaggio, non per governare. Perché ci sono tanti scontenti? Nessuno se lo chiede. Chi ci governa è parte del problema, non della soluzione.

La questione non è banale: le istituzioni esistenti, per come sono gestite e per gli uomini che le gestiscono, sono incapaci di dare risposte serie e non hanno alcuna visione del futuro che ci attende.

L’irruzione della tecnologia sta cambiando la faccia del pianeta. Tra vent’anni, al massimo, almeno il 40% del lavoro sarà svolto da sistemi robotizzati. Altro che voucher! Dove andrà tutta questa gente che sarà sostituita dai robot? Certo, i robot bisognerà farli e qualcuno dovrà lavorarci. Ma saranno pochissimi ed altamente specializzati. Non saranno certo i lavoratori messi a casa dai robot. C’è qualcuno che pensa di preparare i nostri giovani a queste nuove e raffinate mansioni?

Tutti gli altri, che faranno? Con quali redditi e con quali prospettive di vita? I Sindacati se li pongono questi problemi?

Nel nostro Paese, ma non soltanto, abbiamo una “cultura” di analfabeti di ritorno, maestri che scrivono mucca con l’acca, i famosi accenti francesi sono scomparsi o scomposti, la cucina (cusine) diventa cugina (cousine), la par condicio diventa par conditio, implementare è una traduzione sbagliata del verbo to implement, e nessuno protesta, tanto i giornali sono pieni di errori, vendono sempre di meno e c’è gente (amministratori, dirigenti, politici) che si vanta di non aver mai letto un libro in vita sua. Non solo stiamo perdendo la cultura dei nostri padri, ma non abbiamo neppure la percezione di quella del futuro.

La sovranità non è espressa da una bandiera ma da un primato culturale. Questo primato non c’è più o, comunque, ce n’è sempre di meno. Fra qualche anno le auto si muoveranno da sole e sarà forse addirittura un reato guidarle, perché l’uomo può sbagliare ma non un computer. Ci rendiamo conto di cosa si sta preparando nel nostro futuro?

Noi viviamo di passato (dopo settant’anni si parla ancora di fascismo e dopo trenta di comunismo) e di stupidaggini, di calcio o di crimini. Sui temi seri (la sicurezza, i diritti civili, il lavoro, l’educazione scolastica) assistiamo a dibattiti importanti, pieni di parole e vuoti di contenuto. Ma non è vero nulla di quel che dicono. Tutto sarà spazzato via. Altro che la “buona scuola”! Roba vecchia, populismo da quattro soldi, democrazia inceppata e tradita.

La cultura, è anche etica, buon senso, capacità di dare un indirizzo. Siamo scontenti? E come! Ma a chi lo diciamo, a Salvini oppure ad Alfano, al fantasma di Berlusconi o a quell’illusionista di Renzi?

Navighiamo in acque infide dove solo pochi pescano, spesso di frodo, e tutti gli altri stanno lì, a guardare il movimento del mare. Ma la riva è lontana, scogliosa e non c’è approdo in queste condizioni.



Roma, 1° aprile 2017.

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