Orso russo e pulcinella europeo.
Se domani, davvero, gli Stati Uniti si ritirassero dalla NATO, come in fondo sembra minacciare Trump, la questione europea assumerebbe una svolta del tutto imprevedibile.
Dall’epoca del muro di Berlino l’Europa vive sotto la protezione militare degli Stati Uniti. Protezione da chi? Allora, dall’Unione Sovietica, che aveva ingoiato l’Europa orientale e ed occupava più della metà della Germania attuale. Ma oggi? La guerra fredda, bilanciata dalla rispettiva deterrenza nucleare, ormai, è finita. Il crollo dell’URSS, la democratizzazione dei Paesi dell’Est europeiappartengono alla storia di qualche decennio fa. Sciolto il Patto di Varsavia, anche la NATO non ha più ragione di esistere così com’era stata concepita, per fronteggiare il pericolo armato del comunismo vittorioso.
La Russia è diventata una Federazione, molti dei Paesi inglobati nell’allora Unione Sovietica sono diventati indipendenti (Georgia, Armenia, Turkmenistan, Kirghistan, Uzbekistan, Tagikistan, tanto per citarne alcuni). La Russia non è più l’Unione Sovietica ma è pur sempre una grande potenza militare, fra gli arbitri dei destini del pianeta. Anche il mondo è cambiato, nuove potenze regionali sono emerse, tra le quali preminente la Cina. Tuttavia, il permanere del conflitto medio orientale da anni è all’ordine del giorno e distrae da temi più consistenti.
Solo l’Europa non è cambiata, una totale presunzione di potenza economica: nessuna politica estera, tanto la fanno gli Stati Uniti per noi, nessuna difesa comune, tanto c’è la NATO. Ora, dopo cinquant’anni d’immobilismo, i nodi arrivano al pettine. L’Inghilterra se ne è andata, e le cose non vanno tanto bene neppure lì. L’Unione europea si guarda intorno, cercando un sostegno, perché è chiaro che non si può più contare sugli Stati Uniti come prima. C’è ancora la deterrenza nucleare finché le truppe americane saranno in Europa ma, con l’aria che tira, non dovrebbero durare molto: basi aeree e navali forse sì, ma truppe di terra no.
La NATO costa troppo, se gli Stati Uniti devono sostenere la maggior parte del suo peso economico. Trump l’ha detto e ripetuto più volte: o gli Europei tirano fuori i soldi oppure l’America si sgancia. Con la situazione generale di crisi non vedo un incremento delle spese militari europee e, tanto meno, un’integrazione, indispensabile, delle relative forze armate. Da questo punto di vista siamo ancora all’anno mille.
La geopolitica è un fatto: non risente delle ideologie, laiche o confessionali. È una realtà bruta. Se non hai il mare, non hai una flotta; se hai le montagne le truppe corazzate servono a poco; se hai una pianura, è la strada delle grandi migrazioni. L’espansionismo russo da secoli si spinge verso i grandi e ricchi spazi europei e verso i mari caldi del pianeta. In una guerra convenzionale occorrono truppe, mezzi corazzati, missili terra-terra o terra-cielo, stormi di aviogetti o di elicotteri. In una guerra moderna, tutto questo serve a poco, perché con i missili a testata nucleare a lunga gettata puoi fare a meno di queste anticaglie. Puoi incenerire città ed eserciti, stando lontano, a migliaia di km dal terreno di scontro. Questo, però, presuppone un conflitto nucleare continentale che sarebbe devastante per tutti.
La questione su cui riflettere è se una piccola guerra convenzionale, in Europa (ad esempio, cominciando dall’Ucraina), potrebbe indurre Russia e Stati Uniti a scatenare fra loro una guerra nucleare. L’idea in nuce di Trump è che non vale la pena di una singola risposta tattica nucleare in Europa, in caso di conflitto, attivando una risposta nucleare russa sugli Stati Uniti e viceversa. Che se la sbroglino da soli gli Europei, se sono in grado di farlo. Incenerire Mosca o S. Pietroburgo, San Francisco o New York, è un costo troppo elevato per salvare Berlino o Parigi. Le questioni tra i Grandi si risolvono a quattr’occhi o a distanza. L’Europa non serve: è troppo impotente. Questo, tuttavia, non impedisce a Trump d’investire 1.000 miliardi di dollari per l’ampliamento ed il rinnovo dell’armamento nucleare.
Ora, di punti di tensione fra la Russia e l’Unione europea ce ne sono parecchi, a partire dallo stupido embargo economico occidentale nei confronti di Mosca per la questione della Crimea e dell’Ucraina. Poi, c’è il problema dei Paesi baltici dove almeno uno, l’Estonia, tiranneggia la popolazione estone russofona, che rappresenta il 40% della popolazione totale. I Paesi baltici non amano la Federazione russa. Hanno pagato duramente la loro incorporazione nell’ex Unione Sovietica. L’America ha steso un sottile velo di protezione su questi Paesi, all’epoca di Obama. Durerà molto? Se Mosca intendesse ripetere, a tutela dei russofoni estoni, quanto ha fatto nelle regioni orientali ucraine, chi si muoverebbe in Europa, per difendere la libertà dei Paesi baltici? Forse solo la Polonia, preoccupata dall’enclave russa di Kaliningrad (ex Koenisberg).
Ciò detto, quel colpisce, in questo quadro, è la beata incoscienza di coloro che non avvertono la possibilità di conflitti europei. Purtroppo, il buonismo imperante da mezzo secolo ha fatto scuola. Sembra che nessuno si renda conto dei pericoli impliciti di una bella fattoria isolata, facilmente assediabile dai briganti. In questo momento, solo la Germania sarebbe in grado d’intervenire e, forse, la deterrenza tedesca è l’unico freno alle ambizioni di Putin. Non a caso ci sono colloqui in corso fra Tedeschi, Slovacchi, Cechi ed Ungheresi per rabberciare una politica di difesa meno fragile dell’attuale.
La Francia è lontana dalle frontiere orientali e la sua famosa force de frappe è ormai antiquata. Solo la potenza economica tedesca potrebbe aiutare Parigi ad ammodernare il suo potenziale nucleare. In sostanza, il processo di disimpegno americano pone gravi problemi di riassetto reciproco fra i vari Paesi europei in materia di difesa. Forse l’idea di un’Europa tedesca armata può non essere gradita a molti ma se le cose continuano così e se la Merkelcontinua ad essere l’unico uomo politico di governo esistente, non ci sono prospettive diverse
L’anno prossimo ci saranno le elezioni presidenziali in Russia, un Paese con l’arsenale nucleare più grande del mondo 7.200 testate nucleari. Non èancora sicuro se Putin si ripresenterà ma, almeno a giudicare dai sondaggi, ha il consenso di quasi il 70% della popolazione. L’Occidente smania a favore della dissidenza russa, specie quando la polizia arresta 1.700 dimostranti che inneggiano al loro leader, un avvocato quarantenne che combatte contro Putin e il sistema della corruzioneimperante. Ma non c’è da farsi illusioni: anche lui è un nazionalista, che approva l’annessione della Crimea nella Federazione edauspica una soluzione unitaria statale per tutti i russofoni, compresi quelli dell’Ucraina orientale.
Come si vede, il quadro geopolitico non è affatto rassicurante.
Roma, 14 giugno 2017.